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martedì 17 novembre 2009

Relazione del Prof. Andrea Padovani


IL CROCIFISSO, UN SEGNO DI CIVILTA’
del Prof. Andrea Padovani
Vicende piccole e grandi, di risonanza mondiale hanno richiamato l’attenzione sulla presenza di crocifissi nei luoghi pubblici: ospedali, scuole, tribunali, aule consigliari.
La motivazione addotta è la medesima: l’impossibilità di apporre un segno religioso all’interno di spazi pubblici, in uno stato che voglia essere laico.

Se il crocifisso fosse soltanto un simbolo religioso potremmo forse essere d’accordo, anche se poi occorrerebbe cimare: campanili e mimetizzare le chiese; bonificare i cimiteri, e riverniciare quadri e scalpellare le sculture; bandire l’ascolto della “Passione secondo Matteo” di Bach o la “Messa da Requiem” di Mozart.
Col che si sarebbe solo a metà dell’opera, perché vi sarebbe da rivedere l’intera toponomastica mondiale, nomi di paesi, vie e piazze. E non vado oltre.

Ora, però, va detto con chiarezza che il crocifisso non è solo un segno religioso: è un segno che ha anche altri significati, altre valenze. È un segno, direbbero gli specialisti, “polisemico” che allude e molte cose, non direttamente, non immediatamente di valore religioso.

Proverò a spiegarmi con alcuni esempi di facile comprensione.
Vedo una croce su un’ambulanza, in un ospedale, nell’insegna di una farmacia, in una bandiera (poniamo quella danese, svedese, inglese, greca).
Nessuno pensa a quel segno come ad un richiamo alla passione di Cristo. Esso rinvia a servizi di soccorso, ricorda una storia di unità, di identità nazionali: non immediatamente un dato di natura religiosa.
Altro è evidentemente, se quella croce è posta al centro di una chiesa, mostrata alla devozione dei fedeli.

Per questo motivo ritengo che opportunamente da più parti si sia provveduto opportunamente a distinguere il diverso significato della croce, in luoghi diversi: pubblici, da un lato; destinati al culto nell’altro.

Nel primo caso- che è quello che più ci interessa, qui – il crocifisso esprime un segno di unità, esprime un dato storico e culturale di cui non possiamo fare a meno, per cui il nostro mondo non sarebbe più lo stesso, non sarebbe quello che è senza l’apporto del cristianesimo.
In questo senso aveva ragione Benedetto Croce – il laico Benedetto Croce – nello scrivere che “non possiamo non essere cristiani”.

Questa affermazione è sostenibile ove si riflette sulla storia dell’Occidente. Dicevo, poco fa, che per alcuni la croce dovrebbe essere tolta da ospedali, tribunali, scuole, aule consigliari.

Cominciamo pure dai tribunali.
Per secoli, il diritto comune d’Europa – fino all’avvento di Napoleone o addirittura ben oltre tale limite - è stato il diritto romano-canonico. Dunque, il diritto di Giustiniano (che già aveva cristianizzato le leggi pagane di Roma) e quello della Chiesa. Principi e valori di libertà, rispetto della persona, controllo dell’attività economica, equità e giustizia.
Tutti gli ordinamenti europei, moderni, traggono linfa da queste medesime radici. Anche oggi, nelle aule dei tribunali, il crocifisso richiama i giudici alla tremenda responsabilità che si assume chi condanna un innocente: come di fatto avvenne nella persona di Cristo.
Non per caso, in tutte le aule di giustizia di Venezia – nella sua storia più che millenaria – esibivano un ritratto della Passione. Monito e “memento”.

E veniamo agli ospedali
Essi furono certo istituiti anche nell’antichità greco-romana: ma di rado, in casi particolari, quasi sempre a favore di chi poteva permettersi certe cure.
Ben alta fu l’attenzione del fenomeno a partire dal Medio Evo. Ospedali sorsero numerosissimi, nelle città, nelle campagne più sperdute, lungo le vie di comunicazione.
Voluta dal popolo cristiano, vissero di elemosine, di lasciti testamentari ma soprattutto della generosità di molti che – per puro amore di Cristo – si occupavano dei poveri, viandanti, bambini abbandonati, storpi, pazzi, povere meretrici, lebbrosi.
Molti dei nostri ospedali – a cominciare da Santa Maria della Scaletta – traggono origine da quelle istituzioni volute e sostenute – lo ripeto – da un popolo educato,, nella fede, alla carità. La croce esprime in un segno visibile tutta quella storia.

Le scuole.
Anche per queste vale il discorso appena fatto intorno agli ospedali. Luoghi destinato alla educazione dei fanciulli, degli adulti, sorsero ovunque presso conventi, monasteri, semplici chiese parrocchiali. Fino alle università: sicchè le più antiche mostrano ancora, nel loro sigillo, figure di santi, di crocifissi, di madonne.
Si potrebbe parlare del salvataggio della cultura classica ad opera dei monaci benedettini: ma è una cosa fin troppo nota e scontata.
Aggiungerò allora qualcosa di meno scontato: è mio parere che l’insegnamento della dottrina cattolica non dovrebbe essere scelta facoltativa, com’è oggi nelle scuole italiane. Non lo dovrebbe, perché la conoscenza del cristianesimo è premessa indispensabile per comprendere la storia della letteratura, dell’arte, della filosofia, della storia.
E questo, senza lesione del principio della laicità, perché altro è sapere, altro è credere.
Posso e debbo studiare Hegel, Marx, Nietzsche senza per questo diventare idealista, marxista, o nietzchiano.
Anche un pensatore non sospetto – come l’ebreo Spinoza – scrivendo al collega Oldenburg, affermava: “Io dico che per salvezza non è assolutamente necessario che conosciamo Cristo secondo la carne: mentre è tutt’altra cosa per quel che riguarda quell’eterno figlio di Dio che è la sapienza eterna di Dio, la quale si è manifestata in tutte le cose e massimamente nella mente umana”.
Il discorso a Ratisbona di Benedetto XVI – sul logos, il verbo divino – ribadiva la fondatezza della recondita parte di quella lettera spinosiana.

Veniamo allora all’ultimo punto: l’esposizione della croce nelle aule consigliari di un municipio.
È merito del cristianesimo (diversamente da quanto accade nel mondo islamico) avere distinto politica e religione attraverso un processo storico faticoso, ma infine coerente.
Non per caso uno storico americano, Harold Berman (Law and Revolution) ha visto nella lotta per le investiture, avviata nel secolo XI tra Chiesa e Impero, il primo evento rivoluzionari nella storia d’Europa.
Le moderne democrazie sono debitrici verso il monachesimo benedettino del principio di maggioranza nelle delibere. Il diritto naturale, anticipatore, per certi versi, delle attuali dichiarazioni dei diritti umani, fu propugnato dalla Chiesa e dai filosofi cristiani.
Il valore della persona (ignote alla civiltà classica e ad altre religioni) fu sostenuto con forza dalla riflessione teologica: “non c’è più né uomo né donna, né giudeo né greco né libero né schiavo” . ecco le parole di S.Paolo.

Non si vede, allora, perché la croce – come simbolo di civiltà – non possa apparire in quei luoghi, ove si tratta del bene comune.

Qualcuno ha sostenuto che, per costruire una comunità politica, sia sufficiente la presenza dei simboli dello Stato: la bandiera, il sigillo repubblicano, il ritratto del Presidente della Repubblica .

Non può essere sufficiente. La storia di questo paese non si riduce – non si può ridurre – a questi ultimi 60 anni di storia repubblicana. Per amare l’Italia, la sua storia plurimillenaria, la sua arte, la sua cultura, il suo spirito, ci vuole altro. Né possiamo pensare davvero che i nuovi arrivati – gli immigrati – possano sentirsi parte della nostra comunità civile solo per quest’ultimo pezzo di storia recente.
A loro e ai nostri figli insieme, toccherà la tutela convinta di un patrimonio culturale che ha radici antichissime.

Questo mi premeva dire, perché questa è la nostra storia, ben racchiusa nel segno della croce.
Una storia che poteva essere diversa, senza la presenza della Chiesa. Quando nel 568, giunsero i longobardi in Italia – prima vera, tragica invasione delle nostre terre – la storia fu ad un bivio.
Lo fu, perché queste popolazioni barbare, germaniche, recavano una concezione della vita che non conosceva né pietà né misericordia per i deboli, i malati, le donne.
Non per caso il nazionalsocialismo improntò la sua ideologia alla ripresa di quelle tradizioni germaniche: nei simboli, nell’immaginario, nei riti. Che furono poi il modello in cui si ispirarono ossessivamente le SS totenkopf – le feroci Teste di morto -.

Se poi, nel 643, Rotari, promulgando il suo Editto, dichiarava di avere ascoltato la voce dei miserabili e dei diseredati, lo fece per una sola ragione: perché la Chiesa, nel giro di 60 anni, aveva impresso su quel popolo un’altra visione della vita.

Cambiò la storia d’Italia, allora, e quella d’Europa.

Se questo accadde, e l’Occidente si arrestò di fronte al baratro, fu merito di quel crocifisso che qualcuno, oggi, pretenderebbe di cancellare dai nostri occhi.

Fonte:www.presenzattiva.it 17/11/2009

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